Incontri interculturali all’interno degli ospedali danesi – Fare esperienza della diversità (DK)

A cura di Margit Helle Thomsen

Testo di riferimento: Patienter med minoritetsetnisk baggrund i det danske sundhedsvæsen – En fænomenologisk undersøgelse af sygeplejerskers oplevelse af mødet med minoritetsetniske patienter på en dansk hospitalsafdeling (I pazienti con background migratorio nel servizio sanitario danese – uno studio fenomenologico dell’esperienza delle infermiere danesi a contatto con pazienti appartenenti a minoranze etniche nelle corsie di un ospedale) di Nielsen, Ben Farid Røjgård, 2007, tesi, p. 93.

Introduzione

Il presente studio è stato condotto in una clinica grazie alla collaborazione di un gruppo di infermieri e infermiere che operano nel distretto di Copenaghen. L’obiettivo era di comprendere in che modo gli operatori sanitari comunichino con i pazienti di origine non danese. Fondato su un approccio e un’analisi fenomenologica, lo studio cristallizza tre fenomeni di particolare rilevanza per quanto attiene la percezione e la relazione delle infermiere e degli infermieri con i pazienti dal background migratorio: il contesto in cui avviene la comunicazione, i diversi atteggiamenti adottati nei confronti della malattia e le varie matrici socio-culturali dei loro comportamenti. La ricerca si concentra, dunque, su problemi legati al ricorso a degli interpreti e al termine “dolore etnico”. Questo concetto riflette la percezione diffusa fra gli infermieri e le infermiere che i pazienti appartenenti a minoranze etniche tendano ad ingigantire la loro sensazione di dolore. Infine, l’analisi fenomenologica ha posto in evidenza le ricadute che il modo di rapportarsi al cibo e il coinvolgimento degli amici e della famiglia hanno sul sistema sanitario.

Scopo e obiettivi

L’obiettivo dello studio era di comprendere ed analizzare l’incontro fra infermiere ed infermieri danesi ed il crescente numero di pazienti di origine straniera all’interno degli ospedali, allo scopo di evidenziare un eventuale cambiamento delle esigenze e dei servizi richieste. Di quali qualifiche avrebbero dovuto dotarsi gli infermieri e le infermiere al fine di garantire un servizio di qualità, pari a quello offerto a pazienti e familiari di origini danesi? Quali situazioni avrebbero richiesto l’acquisizione nuove e diverse competenze al fine di rispondere alle esigenze di un gruppo di pazienti e familiari culturalmente sempre più eterogeneo?

Lo studio si è, dunque, concentrato sull’esperienza vissuta dalle infermiere e dagli infermieri, in quanto proprio loro avrebbero dovuto adattare le loro pratiche alle diverse esigenze dei pazienti.

Un approccio personale e professionale

Lo studio ruota attorno alle conoscenze professionali delle infermiere e degli infermieri. Allo stesso tempo, rivela l’importanza dell’esperienza soggettiva e personale. Di seguito presentiamo le domande alle quali si è tentato di trovare una risposta.

  • Quali fenomeni e sfide gli infermieri e le infermiere si trovano ad affrontare nell’ambito degli incontri interculturali?
  • In che modo tali fenomeni influiscono sulla qualità delle cure che essi somministrano ai pazienti?
  • In che modo infermieri ed infermiere rispondono alle differenze, e in cosa tali reazioni si differenziamo rispetto ai contatti con i pazienti danesi?
  • Quali sono le ricadute dell’incontro interculturale sulla professionalità delle infermiere e degli infermieri?

I dati raccolti – uno studio sul campo

Al fine di raggiungere tali obiettivi, il ricercatore ha scelto di adottare un approccio qualitativo, supportato da ricerche bibliografiche. Si è servito, inoltre, di una serie di interviste qualitative ed attività di osservazione delle infermiere e degli infermieri con almeno 5 anni di esperienza coinvolti nello studio. Lo studioso ha optato per interviste aperte e semi-strutturate in modo che i soggetti avessero l’opportunità di parlare in maniera libera e spontanea e condividessero il loro punto di vista, seguendo un proprio filo logico, associazioni ed esperienze. Tutte le interviste sono state trascritte ed organizzate per tema.

Come detto in precedenza, alle interviste sono state associate una serie di osservazioni sul campo. Servendosi di tale metodo, il ricercatore ha potuto comprendere e penetrare meglio la realtà di cui infermiere ed infermieri parlavano nelle interviste. Inoltre, le osservazioni si sono dimostrate essenziali al fine di studiare le interazioni verbali e non verbali fra operatori sanitari, pazienti e familiari appartenenti a minoranze etniche. Lo studio si è svolto nel distretto di Copenaghen, tale scelta è giustificata dal fatto che la percentuale di cittadini di origine straniera in quest’area è particolarmente alta – pertanto sono maggiori le probabilità che infermieri ed infermiere entrino in contatto con pazienti dal background migratorio.

Terminologia, concetti e l’approccio teoretico-metodologico

Per quanto concerne l’approccio metodologico – in armonia con la tradizione della ricerca fenomenologica – esso è stato utilizzato allo scopo di catturare e descrivere l’esperienza vissuta dai soggetti intervistati.

Lo studioso si è servito, principalmente, del metodo della descrizione fenomenologica, introdotto dal filosofo tedesco Edmund Husserl.

Inoltre, ha tenuto conto delle considerazioni della filosofa norvegese Kari Martinsen, infermiera per formazione, i cui studi sono tesi di dimostrare la necessità di unire la dimensione morale, relazionale e pratica nella somministrazione delle cure.

Si fa riferimento anche delle considerazioni dell’antropologo danese Bodil Selmer per discutere degli atteggiamenti culturali sottesi alla visione istituzionale della professione dell’infermiere nel sistema sanitario danese.

Concetti utilizzati per descrivere i pazienti appartenenti a minoranze etniche

Il ricercatore ha riflettuto sul concetto di minoranza etnica. Rifacendosi alle teorie dell’antropologa danese Kirsten Hastrup, ritiene che il concetto di etnicità emerga esclusivamente nel momento in cui diviene politicamente e socialmente rilevante all’interno della comunità fare delle distinzioni fra la maggioranza della popolazione ed i gruppi minoritari. Per questa ragione, il concetto di etnicità va visto nella sua dimensione relazionale e situazionale, e non andrebbe legato ai tratti individuali di una persona. I cittadini diversi per etnia si differenziano dai cittadini danesi, ma tale differenza assume un certo valore e significato esclusivamente in virtù di tale distinzione. I pazienti appartenenti a minoranze etniche erano, dunque, visti involontariamente come alieni e diversi.

Principali risultati

Gli infermieri e le infermiere hanno evidenziato tre questioni caratterizzanti negli incontri con pazienti appartenenti a minoranze etniche:

  • comunicazione;
  • una diversa concezione di malattia;
  • diversità dei comportamenti adottati all’interno del reparto.

 

  1. Prima questione: la comunicazione

Infermiere ed infermieri hanno indicato nella scarsa o inadeguata conoscenza del danese da parte dei pazienti appartenenti a minoranze etniche un fenomeno capace di influire in maniera importante sugli incontri interculturali. Le competenze linguistiche giocano un ruolo fondamentale nella comunicazione, soprattutto perché permettono ad infermieri ed infermieri di parlare in maniera chiara con i pazienti riguardo alla loro situazione e alle cure da somministrare. La comunicazione è alla base delle funzioni di cura:

“Prima di tutto, mi chiedo sempre se mi capiscano, o se non abbiano delle difficoltà linguistiche. È qualcosa che tento di capire all’inizio – capiscono il danese…capiscono cosa dico … ” (da un’intervista riportata nello studio)

Comunicazione attiva vs comunicazione passiva

Le infermiere pensano che i pazienti appartenenti a minoranze etniche tendano ad essere passivi nella comunicazione. Ad esempio, di rado i pazienti dicono di non aver compreso bene le informazioni date loro riguardo alla loro patologia. Fingono di capire, ma poi si scoprono confusi riguardo alle cure che sono loro somministrate, ecc. Inoltre, molte infermiere ed infermieri affermano che i pazienti di origine straniera – al contrario di quelli danesi – non cercano di informarsi da soli riguardo alla loro malattia, magari attraverso internet. Le infermiere e gli infermieri interpretano questo atteggiamento come una certa riluttanza a “prendere il controllo sulla propria malattia“.

Servirsi o non servirsi di interpreti – questo è il dilemma

Lo studio fotografa un momento in cui all’interno degli ospedali del distretto di Copenaghen vi erano delle linee guida ben precise per quanto concerne i servizi di interpretariato. Tuttavia, numerose infermiere ed infermieri hanno di fatto cercato di limitare l’utilizzo di tali servizi, servendosi dell’aiuto di membri della famiglia. In generale, però, il ricorso a degli interpreti dipende dalla natura e dalla gravità del caso clinico. Tuttavia, per discuter di questioni legate alla morte, a malattie gravi o a situazioni delicate è bene affidarsi a un interprete esterno ed evitare di coinvolgere i familiari. Le infermiere e gli infermieri hanno dichiarato di rivolgersi alla medesima agenzia di interpretariato al fine di creare un mutuo rapporto di fiducia e una piattaforma professionale comune.

Conclusioni questione 1

Secondo i soggetti coinvolti nella ricerca, uno dei problemi più importanti nel campo degli incontri interculturali è costituito dagli ostacoli di natura linguistica e dall’esigenza di ricorrere a degli interpreti, che sottraggono tempo e risorse ai normali compiti del personale sanitario. Le barriere linguistiche inficerebbero l’equilibrio fra necessità di fornire informazioni e dialogo sulle condizioni di benessere, dolore, angoscia emotiva, cura. Più è difficile comunicare con pazienti appartenenti a minoranze etniche, maggiore sarà l’enfasi sulle informazioni formali e pratiche e ciò, secondo infermieri e infermiere, sarebbe da ostacolo alla somministrazione delle cure di base e causa dei ritardi nel processo di guarigione e recupero.

Tuttavia, la tendenza a porre l’accento sulle difficoltà linguistiche potrebbe in alcuni casi essere determinata da un atteggiamento confidenziale, mentre le infermiere potrebbero mostrarsi critiche nei confronti della scarsa capacità o interesse delle minoranze etniche di apprendere il danese.

  1. Seconda questione: una diversa concezione della malattia

“Il dolore etnico” – molti infermieri ed infermiere condividono la percezione che pazienti appartenenti a minoranze etniche parlano molto di più del dolore rispetto ai pazienti danesi:

“Penso che i pazienti appartenenti a minoranze etniche dicano più spesso di provare dolore rispetto a quelli danesi. Ne parliamo di tanto in tanto fra di noi – chiamiamo questa tendenza dolore etnico […] ” (da un’intervista riportata nello studio).

In generale, le infermiere e gli infermieri hanno notato delle differenze etnico-culturali per quanto concerne l’espressione della sensazione di dolore, e ritengono i pazienti danesi più capaci di sopportare il dolore o essere discreti a riguardo.

Conoscenza e consapevolezza del proprio corpo

È stato poi osservato che i pazienti appartenenti a minoranze etniche sembrano essere meno consapevoli del proprio corpo e dei relativi meccanismi rispetto ai pazienti danesi. Alcuni hanno interpretato tale difficoltà come il risultato di una scarsa alfabetizzazione e conoscenza dell’anatomia e della fisiologia.

Inoltre, le infermiere hanno osservato che i pazienti appartenenti a minoranze etniche preferirebbero rimanere a letto per qualche tempo dopo l’operazione. In contrasto con la prassi normalmente seguita negli ospedali danesi, ovvero di aiutare il paziente a riprendere la propria vita al più presto possibile. I pazienti appartenenti alle minoranze etniche apparentemente legano la malattia al fatto di stare a letto. E ciò richiede dei ricoveri più lunghi se paragonati a quelli dei pazienti danesi con prognosi simili. Quelli appartenenti a minoranze etniche avevano più paura di essere dimessi e si sentivano più al sicuro all’interno dell’ospedale.

Inoltre, le infermiere hanno notato una certa tendenza di questi ultimi a reagire rabbiosamente o a sentirsi minacciati da cambiamenti imprevisti, come la cancellazione di un intervento.

Conclusioni questione 2

Secondo infermiere ed infermieri, è difficile valutare da un punto di vista personale e professionale se i pazienti appartenenti a minoranze etniche sentissero veramente dolore oppure stessero esagerando. Tale dubbio è percepito come un ostacolo alle cure professionali e allo svolgimento delle mansioni professionali. Inoltre, la mancanza di conoscenze riguardo al funzionamento del corpo si è rivelata importante nel momento in cui gli operatori sanitari dovevano spiegare ai pazienti la sintomatologia delle loro patologie.

In alcuni casi, le infermiere hanno automaticamente collegato tali lacune a un basso livello di istruzione. Tuttavia, in base a quanto riportato, appare chiaro che in questo caso gli operatori sanitari tendano a mischiare valutazioni di natura professionale con preconcetti personali ed etnocentrici sulla preparazione e sul grado di civilizzazione nei cosiddetti Paesi del Terzo mondo. Allo stesso modo, anche la definizione di “dolore etnico” va considerata come un pregiudizio negativo.

In sintesi, le infermiere ritenevano che i pazienti appartenenti a minoranze etniche si comportassero in maniera opposta agli standard e alle procedure seguite nel sistema sanitario danese, ad esempio in relazione al processo di guarigione e recupero.

  1. Terza questione: differenti comportamenti all’interno dei reparti.

Introdurre cibo in ospedale: le infermiere e gli infermieri hanno individuato numerose differenze nei comportamenti adottati all’interno dell’ospedale. La prima è legata al cibo, in quanto spesso i familiari dei pazienti appartenenti a minoranze etniche portavano loro da mangiare. Molte infermiere guardano, però, con favore a tale fenomeno, mentre altri pensano che recapitare del cibo possa costituire un disturbo per gli altri pazienti.

L’impatto delle reti sociali forti: i pazienti appartenenti a minoranze etniche avrebbero dei legami sociali più forti, e ciò determina un aumento delle visite in ospedale. Alcuni infermieri ed infermiere hanno sottolineato il vantaggio di possedere delle relazioni tanto solide ai fini del processo di recupero del paziente. Mentre altri guardano alle persone in visita come una seccatura per gli altri pazienti ed il personale.

Conclusioni questione 3

Secondo infermiere ed infermieri, le differenze sociali e culturali possono avere degli effetti positivi e negativi. Alcuni pensano che le abitudini dei pazienti siano importanti al fine di garantire il loro processo di recupero. Altri sembrano più concentrati sulle ricadute negative che tali aspetti hanno sulla propria routine professionale e sulle procedure del reparto.

Conclusioni generali

Lo studio ha individuato nella comunicazione, nel diverso atteggiamento nei confronti della malattia e nella diversità dei comportamenti adottati a livello sociale gli aspetti più rilevanti dell’incontro interculturale.

Comunicazione

Le infermiere pensano che le barriere linguistiche rendano difficile la comunicazione con pazienti appartenenti a minoranze etniche, e dunque risulta anche più difficile chiarire la situazione del paziente e parlare delle risorse, delle esigenze e dei requisiti.

L’impossibilità di stabilire un dialogo porta a una sorta di oggettivazione del paziente, dal momento che le infermiere e gli infermieri – al di là del proprio ruolo professionale –hanno dichiarato di sentirsi incapaci di riconoscere e comprendere a pieno la storia individuale, l’identità e l’integrità dei pazienti appartenenti a minoranze etniche. Privati della dimensione interattiva della comunicazione, essi non sono stati, dunque, capaci di servirsi di interpretarne le esigenze servendosi di categorie socio-culturali e psicologiche, com’è loro abitudine. Ciò ha portato, in alcuni casi, a situazioni in cui infermieri ed infermiere hanno fatto ricorso a stereotipi e interpretazioni etnocentriche negativamente connotate.

Una diversa visione della malattia

Le infermiere hanno parlato di “dolore etnico” per descrivere la tendenza dei pazienti appartenenti alle minoranze etniche a parlare frequentemente del loro dolore. Tale atteggiamento è stato giustificato con l’adozione di una diversa visione etnico-culturale della malattia e della soglia del dolore. Anche la mancanza di conoscenze in materia di anatomia e fisiologia è ritenuto da loro un fatto culturale.

Studi precedenti si sono soffermati sull’analisi delle differenze culturali per quanto concerne la soglia del dolore, ma non sono state date risposte chiare. Sembra che l’espressione del dolore sia legata ad aspettative culturali connesse con il momento e le modalità di tale espressione – più che determinate dal dolore in sé. L’antropologa medica danese Beth Elverdam ha parlato dei connotati culturali propri dei meccanismi di reazione e di espressione del dolore, prodotto dell’attività di socializzazione. Pertanto, l’esperienza delle infermiere e degli infermieri va considerata come il frutto dell’approccio e del quadro culturale di riferimento, in questo caso quello danese, secondo cui i bravi pazienti sopportano stoicamente il dolore. Beth Elverdam sostiene, inoltre, che la scarsità di conoscenze a disposizione sulle funzioni biologiche del corpo non è sinonimo di una scarsa consapevolezza del proprio corpo, in quanto anche percezioni e interpretazioni dei sintomi della malattia sono condizionati dalla cultura. Quando i pazienti appartenenti a minoranze etniche preferiscono stare a letto, non fanno altro che conformarsi al comportamento dettatogli dal loro sistema culturale di riferimento, sostanzialmente diverso da quello cui si rifanno gli operatori sanitari danesi.

Comportamenti sociali e culturali differenti

Infermieri ed infermiere hanno discusso delle differenze legate al cibo e al flusso di visitatori, nonché al ruolo passivo che generalmente caratterizza i pazienti appartenenti a minoranze etniche.

L’esperienza riflette la cristallizzazione sociale e culturale dei ruoli di pazienti e professionisti nel campo dell’assistenza sanitaria. Maggiore sarà l’autorevolezza acquisita dal professionista, minore sarà il ruolo ricoperto dal paziente. Essere nati e cresciuti in un sistema più dialogico e meno autoritario rende difficile per gli operatori sanitari avere a che fare col comportamento passivo dei pazienti.